Gli obiettivi del Fondo Italiano d’Investimento sul territorio: spazio per operazioni su un centinaio di aziende
Alla ventina di aziende bergamasche e bresciane, incontrate ieri nella sede di Confindustria, hanno raccontato le loro case history più significative. Come quella di Rigoni di Asiago, marchio famoso di marmellate che, quando ha deciso di orientarsi nel segmento delle creme spalmabili, ha trovato nel fondo un partner prezioso per la ricerca della materia prima (noccioleti nell’est Europa). O il caso del Gruppo Florence, principale polo produttivo italiano integrato al servizio della moda di lusso, nato nel 2020 dalla fusione di diverse aziende.
«Erano tre e adesso sono trentasette, realtà qualificatissime di produzione sotto tutti i punti di vista, ma fragili perché legate ad un solo brand, con un rischio di concentrazione finanziaria e manifatturiera. Con loro siamo riusciti a creare una filiera strategica che ha cambiato i connotati del sistema e che ha visto come nostro partner finanziario anche la famiglia Pesenti», spiega Gianpaolo Di Dio, chief investment officer di Fondo Italiano d’Investimento Sgr. Realtà che a breve compirà 15 anni e che ha come obiettivo la gestione di fondi mobiliari chiusi dedicati a far confluire capitali verso il sistema delle imprese italiane d’eccellenza, coniugando finalità di ritorno sul capitale investito.
«Ci poniamo come buoni partner in presenza di una base industriale solida che può crescere con progetti anche complessi», aggiunge Di Dio inquadrando la Sgr «come una delle più grandi d’Italia e con una dedizione esclusiva a industrie italiane di piccole o medie dimensioni finanziarie». Il range oscilla tra i 50 e i 200 milioni di fatturato con un focus esclusivo su imprese «eccellenti» caratterizzate da progetti di crescita. Con 4 miliardi e 200 milioni di asset, dal 2010 (anno di fondazione su iniziativa del Ministero dell’Economia e delle Finanze e partecipato da CDP Equity, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Fondazione Enpam, Fondazione Enpaia, Abi, Banco Bpm e Bper Banca) il fondo ha sostenuto 700 interventi indiretti in Italia (di cui 300 in Lombardia), mentre direttamente ha investito in 65 realtà lombarde e 6 bergamasche. Tra queste, nome molto conosciuto nella «rubber valley» orobica quello di Mesgo di Gorlago, tra i più importanti compounder europei, punto di riferimento nei settori della gomma e delle materie plastiche. «Tutta la Lombardia, ma in particolar modo le province di Bergamo e Brescia ci stanno molto a cuore», ha ribadito Di Dio che con il Fondo Italiano Consolidamento e Crescita II con asset in gestione per 503 milioni di euro persegue lo sviluppo di società, nei settori chiave del Made in Italy, Information Technology & Digital, Lifescience & Healthcare, Turismo 4.0, Industrial Technology & Products. Ma anche, come nel caso della Bergamasca, di peculiarità industriali: «Il nostro focus qui a Bergamo potrebbe rivolgersi fino a un centinaio di aziende, con particolare attenzione alla componentistica e sugli stampi dell’automotive oltre che sull’idraulica meccanica di macchine per movimento terra».